SuiGeneris Edizioni
5 min readNov 25, 2020

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Intervista a Debora Benincasa

a proposito di

Theo — Storia del cane che guardava le stelle

Theo — Storia del cane che guardava le stelle è il nuovo libro di Debora Benincasa, uscito a ottobre con SuiGeneris Edizioni. Ne parliamo un po’ con l’autrice.

Perché hai deciso di scrivere su Theo Van Gogh?

La storia del libro è un po’ particolare: nasce, infatti, come spettacolo di cui ho fatto la drammaturgia. L’idea principale in realtà non è venuta a me, ma a Marco Gottardello: lui ha avuto quest’idea iniziale, un nucleo, che poi mi ha chiesto di sviluppare. Era un periodo in cui eravamo coinquilini in questa casetta piccoletta, molto adorabile, molto buia, e io lo vedevo che armeggiava con il libro Lettere a Theo, un volume che racchiude tutte le lettere di Vincent Van Gogh al fratello. E la cosa interessante di questo libro, nella sua pubblicazione italiana, è che mancano le risposte del fratello, quindi si possono leggere tutte le lettere di Vincent a Theo, ma c’è questo buco rispetto alle sue risposte, manca questo pezzettino. Io sentivo Marco che ci lavoricchiava, che stava lì a borbottare sul fatto che gli mancava questo pezzettino di racconto e quando me ne ha parlato sono entrata in questo mondo. Il gioco per noi è stato sviluppare questo buco che c’era.

Invece l’esigenza forte del voler parlare di Theo, che secondo me sta nel rapporto tra i due fratelli e che in qualche modo è simbolicamente molto forte, è stata quella di voler capire cosa succede a stare accanto al genio e la paura della nostra mediocrità, di essere troppo mediocri, normali, non memorabili. Quindi è forse un discorso più su sé stessi, su alcune paure molto intime, sulla normalità. Poi viviamo anche in una società che ci richiede invece di essere speciali, essere belli, essere crazy, quindi emerge l’esigenza di capire cosa succede invece quando uno dice “Ok, sono questo”.

E chiaramente per un Theo che sta accanto a un Vincent che è debordante ed eccessivo in tutto, questa cosa si sottolinea.

Infatti a un certo punto scrivi:

Si tramandano solo le cose grandi, qui.

Sapete, la memoria non ha un gran senso

dell’etica: quanto più terribili, quanto più impressi.

[…]

Ci si ricorda, in fondo, solo delle persone speciali.

E tutti gli altri?

È un pensiero molto attuale, perché avviene questo secondo te?

La storia si dice sia fatta dalle persone speciali, ma non solo, si dice anche che sia scritta dai vinti. Ci sono dei movimenti che ricercano le storie più quotidiane, più piccole, più a margine. Mi viene in mente il lavoro che fa il gruppo Cannibali e Re: hanno sia una pagina Facebook sia delle pubblicazioni molto interessanti che raccontano la storia di persone che non sono state ricordate, per quanto abbiano avuto un ruolo o si siano trovate in mezzo a vicende importanti. E nella loro quotidianità si può leggere anche “La Storia” più grande. E per me, nel mio lavoro, l’attenzione al piccolo, a quello che è emarginato, quello che sta fuori dal centro, è sempre stata la mia urgenza più generale, andare a cercare chi sta fuori dalla lente d’ingrandimento, dai riflettori.

Dicevi prima che in realtà Theo è nato come spettacolo teatrale, qual è stato il progetto e la messa in scena?

Sì, noi siamo una compagnia, Anomalia Teatro, abbiamo compiuto da poco 4 anni e Theo è il nostro secondo monologo, il primo è Antigone — Monologo per donna sola.

Theo — Storia del cane che guardava le stelle ha debuttato a Maggio 2019 al Fringe Festival, con la regia di Amedeo Anfuso e con Marco Gottardello in scena.

C’è questa scenografia che è dolcissima, è molto bella, che vuole ricordare un po’ una cameretta, quindi è tutta in legno, fatta da Alessandro Rivoir e, e c’è una cassapanca con una parete dietro. Noi in generale facciamo questo tipo di teatro estremamente di parola, siamo dei parolai, e quindi il nostro teatro spesso è molto narrativo e molto popolare. Sia in Antigone, sia in Theo, sia negli altri spettacoli, quello che cerchiamo di fare è tenere un registro abbastanza semplice, per quanto poi l’urgenza dietro sia anche più pesante. Cerchiamo di tenere sempre un livello che possa comunicare con un pubblico ampio e cerchiamo di farlo anche con la recitazione: abbattiamo la quarta parete, parliamo direttamente col pubblico, abbiamo un rapporto molto diretto con chi guarda.

Se dovessi scegliere una frase o una scena del libro che sia rappresentativa della figura di Theo, quale sarebbe?

Le parti che mi stanno più a cuore sono il monologo iniziale e il monologo finale. Il monologo iniziale è proprio la presentazione del personaggio e quindi anche solo la prima frase “Sono Theo Van Gogh — Theo chi?” per me è molto rappresentativa: in due frasi dice già tutto quello che gli è successo nella vita.

Ma secondo te era più Theo ad aver bisogno di Vincent o Vincent ad aver bisogno di Theo o in egual modo?

Era un rapporto di stretta dipendenza l’un l’altro. Poi tutta la storia è ovviamente una nostra immaginazione, forzando anche un po’ la realtà dei fatti. Per come la vedo io, Theo era colui che andava dietro a Vincent, e in questo senso sembrerebbe più lui a ricercare suo fratello, a ricercare la sua ombra. Detto questo, però, anche Vincent aveva estremamente bisogno dell’appoggio del fratello sia da un lato pratico sia da un lato affettivo: Theo lo manteneva ed è stato comunque l’unico a rimanere sempre vicino a Vincent nonostante tutto.

È anche interessante il rapporto con l’eccessività di Vincent: Theo, che lo ha sempre accolto, ha avuto comunque dei momenti in cui si è alterato, in cui gli ha chiesto perché non si comportasse come le persone normali, che è poi quello che gli dicevano tutti gli altri. Emerge anche, quindi, la difficoltà di questo rapporto, lo stare accanto a una persona che è molto preponderante e molto a contatto con la sua follia.

Che ruolo ha la comicità nella scrittura di Theo?

Una cosa che ci tengo a dire, a cui teniamo tanto, sulla scrittura e in generale sul lavoro di compagnia, è la nostra ricerca di essere “popolari” nel senso più bello e più profondo del termine. Cercare quindi un linguaggio che possa essere usufruito da tutti i vari livelli di lettura, utilizzare tanto la comicità che anche in Theo è presente: Vincent, ad esempio, ogni tanto è tenerello e fa anche ridere. Queste aperture per noi sono estremamente importanti, anche per far calare la difesa alle persone, per poi insinuare la tragedia e il dramma, i discorsi più radicali. Sia Theo che Antigone, poi, sono stati e verranno proposti anche a dei ragazzi adolescenti ed è una cosa bella per noi poter parlare a varie età e a pubblici molto ampi.

Questo e molto altro è Theo — Storia del cane che guardava le stelle.

Intervista di Marilde Quaranta

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Casa editrice indipendente, a Torino dal 2014. Narrativa breve, filosofia, teatro, satira. www.edizionisuigeneris.it