SuiGeneris Edizioni
5 min readJan 17, 2019

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La politica del Salone Internazionale del Libro di Torino 2019

Un paio di giorni fa ho partecipato alla terza riunione in tre anni al Circolo dei Lettori per discutere dell’assetto del Salone Internazionale del Libro di Torino.

Se anche quest’anno avete pensato “si farà oppure no?”, state tranquilli, anche quest’anno si farà. Le date ci sono. Intorno al 24 gennaio il marchio dovrebbe essere acquisito dall’associazione Torino città del Libro che si occuperà della parte commerciale, mentre il Circolo dei Lettori di quella culturale; la sede sarà sempre Lingotto. Entro metà febbraio l’organizzazione assicura che gli editori riceveranno i moduli per l’iscrizione.

La nota dolente?

Anche quest’anno non si capisce quale sarà il criterio di selezione e come saranno distribuiti gli editori all’interno dello spazio espositivo.

Come funziona nelle altre fiere, che riescono, anno più anno meno, nel loro intento di valorizzare i libri di ogni singolo editore?

Nella spartana BookPride, a Milano e Genova, gli editori possono acquistare uno stand di 8 o di 16 metri in base all’ordine di iscrizione, fino a esaurimento posti.

Nella oligarchica Più libri più liberi, a Roma (dove, detto tra noi, il costo dello stand è comunque proibitivo) chi ha partecipato alle edizioni precedenti ha il diritto di prelazione. Può dunque confermare la sua postazione e acquistare una superficie espositiva maggiore o minore. E la maggior parte dei patrizi conferma. Poco spazio viene lasciato ai nuovi plebei.

Al Salone Internazionale del Libro non funziona né nell’uno, né nell’altro modo. Alla fiera partecipano sia i grandi gruppi editoriali, sia gli editori indipendenti. È l’unica fiera generalista in Italia — da quest’anno non ci sarà più Tempo di Libri — che ha il pregio di ospitare una porzione significativa della produzione editoriale nazionale e di proporre numerosi incontri e presentazioni. L’anno in cui sono arrivata a Torino me ne sono innamorata e ho avuto modo di scoprire tanti nuovi editori.

Purtroppo però le dinamiche del Salone ricalcano quelle della distribuzione. Chi ha tanti soldi e tanti titoli in catalogo acquista una metratura più ampia. Così nascono gli stand mastodontici di Mondadori, Feltrinelli, Newton Compton, ecc. Senza nessun limite e con una sproporzione penalizzante per gli altri.

Durante la riunione del 15 gennaio, Nicola Lagioia si è rivolto agli editori indipendenti in sala e li ha definiti dei pionieri. Secondo lui, i piccoli devono cercare il nuovo e puntare sulla qualità. Ha inoltre chiesto di essere entusiasti e di portare al Salone le loro idee, con la stessa partecipazione che c’è stata nel 2017.

Vale la pena di ricordare che nel 2017 i grandi colossi non hanno partecipato al Salone e gli editori indipendenti sono stati i protagonisti.

Nel 2018, invece, sono tornati i giganteschi stand, prontamente posizionati dagli organizzatori negli spazi centrali di maggiore flusso, e che hanno relegato gli editori indipendenti, letteralmente, ai lati. Tale manovra ha inoltre provocato la vergognosa esclusione di alcuni editori. Gli esclusi, che avevano partecipato con continuità alle edizioni precedenti e che avevano fatto puntuale richiesta di uno stand, sono invece stati reinseriti all’interno di una tensostruttura. Il PAD.4, chiedete a chi c’è stato, ricordava, in tutto e per tutto, un ghetto. Il 2018 è anche stato l’anno in cui ci sono stati, in assoluto, più spazi dedicati ad aziende, piccole manifatture e istituzioni che niente avevano a che fare con i libri. Addirittura uno spazio è stato dato a Glo, azienda che vende sigarette elettroniche.

Gaspare Bona, rappresentante di ADEI (associazione degli editori indipendenti), nel suo intervento sulla divisione dei compiti tra privati detentori del marchio Salone Internazionale del Libro e Circolo dei Lettori, ha detto che l’assegnazione degli stand è una “questione commerciale”, e sarà impossibile fare felici tutti.

Isabella Ferretti, editrice di 66thand2nd, si è fatta portavoce di chi partecipa da molti anni al Salone e ha chiesto se ci sarà la possibilità di riconfermare la posizione dello stand, per dare un senso di continuità ai lettori.

Io, editrice di SuiGeneris, mi faccio portavoce di chi l’anno scorso era nel PAD.4 e chiedo che quest’anno i criteri di selezione e di posizionamento diventino chiari e, soprattutto, pubblici. È facile chiedere agli editori indipendenti di essere entusiasti. Ma non puoi chiedere loro di partecipare senza che gli sia garantito per tempo un posto e che questo non sia marginale.

Quest’anno il problema degli spazi, e di una possibile sovrarichiesta, si ripresenta: non ci sarà più il PAD. 5 (quello dove ha avuto sede il Bookstockvillage dedicato ai bambini) e non si sa se ci saranno le sale per le presentazioni. Gli organizzatori parlano di una possibile aggiunta dell’Oval, uno spazio grande quanto Lingotto e situato a qualche centinaio di metri di distanza. Una manifestazione dislocata su due spazi così distanti corre il rischio concreto di esasperare ancora di più il problema dei flussi emerso nella precedente edizione. E rappresenta un problema per gli stessi visitatori, soprattutto in caso di pioggia.

Il Salone è stato quindi un’oclocrazia. Non ha sfruttato a pieno l’attenzione di visitatori e media per mandare un messaggio forte e ha faticato a suscitare maggiore interesse su l’intera filiera editoriale. E per di più, non imponendo un limite ai metri, escludendo o penalizzando le realtà più piccole e non creando degli spazi tematici riconoscibili (ne è un esempio la rilevanza sempre minore data all’Incubatore) non si è elevato, in questi ultimi anni, dalle pratiche già presenti nel mercato.

Dopo l’ennesimo cambio di gestione, si parla ancora di un’edizione zero. Quest’anno, dicono, non ci saranno spazi di serie A e spazi di serie B. Sarà vero?

Sarebbe bello se quest’anno Mondadori avesse un numero limitato di metri e fosse costretta a fare una selezione delle opere da esporre. Chissà se porterebbe i libri di Palahniuk o quelli di Barbara d’Urso.

“essi […] non tenendo più in gran conto, a causa dell’abitudine, l’uguaglianza e la libertà di parola, cercano di prevalere sulla maggioranza; in tale colpa incorrono soprattutto i più ricchi.” – Polibio, Le Storie –

L’intento dell’articolo non è demolire il Salone, ma portare a una riflessione seria per creare delle basi più solide.

Oriana Conte

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Casa editrice indipendente, a Torino dal 2014. Narrativa breve, filosofia, teatro, satira. www.edizionisuigeneris.it